Il trauma e il disturbo post traumatico da stress (PTSD)

Il trauma e il disturbo post traumatico da stress (PTSD)

iArticolo revisionato dalla nostra redazione clinica

pubblicato il 10.05.2024

INDICE

Il trauma è personale. Anche se viene negato, esso non scompare. Quando è ignorato o negato, le grida silenziose continuano interiormente e vengono sentite solo da chi ne è prigioniero. Quando qualcuno entra in quel dolore e sente le urla, la guarigione può iniziare.
(Danielle Bernock)

Che cos’è un trauma?

Il termine trauma deriva dal greco trayma e significa trafittura, perforamento. Già Sigmund Freud descriveva come traumatiche tutte quelle situazioni in cui la violenza dell’impatto dell’evento esterno è tale da causare una lacerazione di quella barriera protettiva che di norma respinge efficacemente gli stimoli dannosi.
In effetti, la parola trauma indica la frattura di un tessuto prima intatto, sia esso un tessuto fisico (trauma fisico), oppure psichico (trauma psicologico).

Il trauma psicologico è una reazione psichica, da intendere come una ferita causata da un fattore traumatico (stressor) di fronte al quale ci sentiamo del tutto impotenti e inermi e che comporta l’essere sopraffatti da emozioni angoscianti e intollerabili difficili da gestire.

Due tipi di trauma: con la “T” maiuscola e con la “t” minuscola

Nonostante il trauma sia uno dei temi maggiormente dibattuti in ambito psicologico, non si è ancora arrivati ad una definizione univoca. Possiamo, quindi, suddividere i traumi in due grandi famiglie.

  1. Traumi con la “T” maiuscola: viene presa in considerazione la drammaticità oggettiva e intrinseca dello stressor. Queste tipologie di eventi traumatici sono meno comuni e comprendono situazioni estreme, inaspettate, che portano alla morte o che minacciano l’integrità fisica propria o delle persone care (per es., disastri ambientali, lutti, abusi sessuali, aggressioni, rapimenti, torture, diagnosi di malattie pericolose per la vita o gravi incidenti). Secondo la letteratura, gli eventi che hanno maggiore impatto traumatico sono quelli causati intenzionalmente da un altro essere umano (per es., una violenza), ripetuti nel tempo, di natura sessuale e/o incestuosa.
  2. Traumi con la “t” minuscola o traumi cumulativi: viene presa in considerazione l’esperienza soggettiva della persona che subisce il trauma e il focus si sposta dall’evento traumatico al significato personale che si attribuisce all’evento. Ciò che è rilevante in questo tipo di traumi è la capacità che abbiamo di elaborarli affettivamente e cognitivamente. Gli eventi traumatici che rientrano in questa categoria sono più comuni e sono causati da esperienze soggettivamente disturbanti caratterizzate da una situazione di pericolo relazionale (per es., situazioni di sofferenza e umiliazione). Questo tipo di traumi relazionali ci portano a riflettere sul fatto che molte persone, pur subendo traumi “minori” rispetto ad altre, possono sperimentare conseguenze psicologiche di portata maggiore.
    In questo articolo parleremo della prima tipologia di traumi

La reazione al trauma: uguale per tutti?

La reazione all’evento traumatico varia da persona a persona e dipende fattori come la resilienza e la gravità dell’evento traumatico.

Con resilienza si intende la nostra capacità di adattarci in modo efficace alle avversità e di reagire agli eventi negativi traendone insegnamenti utili. Questa capacità dipende dalle nostre caratteristiche personologiche e dal contesto sociale e culturale in cui siamo inseriti. Ad esempio, caratteristiche come autostima, ottimismo e flessibilità cognitiva influiscono positivamente sulla nostra capacità di fronteggiare gli eventi stressanti.

Anche la gravità oggettiva dell’evento traumatico gioca un ruolo importante nella nostra capacità di adattamento. Più l’evento traumatico ci espone al rischio di morte, minacciando la nostra integrità psicofisica, maggiore sarà il suo potenziale traumatico.
Tra i fattori di rischio che predispongono allo sviluppo di disturbi legati ad eventi traumatici troviamo l’intensità della reazione immediata all’evento, l’abuso di sostanze o di alcol e disturbi psicopatologici preesistenti.

Che cosa è il Disturbo Post Traumatico da Stress – PTSD?

Il Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD) è un disturbo psicopatologico che si può manifestare in seguito all’esposizione ad un evento traumatico che minaccia la nostra integrità psicofisica (per es., violenze o gravi lesioni) esponendoci alla morte o al rischio di morte.
Non è necessario aver vissuto in prima persona l’evento traumatico, basta anche esserne stati testimoni. Questo disturbo si può manifestare anche se si è venuti a conoscenza di un’esperienza traumatica occorsa ad una persona cara.

Figure professionali come polizia, vigili del fuoco e personale sanitario, sono esposte in misura maggiore a episodi o dettagli particolarmente violenti e sconvolgenti che minacciano l’integrità fisica di altre persone.
In linea generale, gli eventi traumatici generano un’immediata reazione da stress acuto che con il passare delle settimane, in molti casi, ma non in tutti, tende ad una naturale remissione. Infatti, si stima che più del 50% della popolazione occidentale sia esposta ad almeno un evento che minaccia l’integrità psicofisica, ma solo il 7.5% sviluppa un Disturbo Post-Traumatico da Stress (PTSD), mentre circa l’80% della popolazione si “adatta” al trauma e non sviluppa il disturbo.

Quali sono i sintomi del PTSD?

Il PTSD si differenzia da tutti gli altri disturbi psicopatologici perché ha un chiaro e circoscritto punto di inizio, ossia l’esposizione all’evento traumatico e il fallimento dei meccanismi fisiologici di adattamento.

I sintomi del PTSD sono espressione di un’oscillazione continua tra la negazione o la rimozione dell’evento traumatico e la sua ripetizione continua, che si manifestano rispettivamente nei sintomi di evitamento, in cui evitiamo o disconosciamo l’evento traumatico, e di intrusione, in cui sembra di “ri-viverlo” nel qui ed ora.

Il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali suddivide i sintomi del Disturbo Post Traumatico da Stress in quattro aree.

  1. Episodi d’intrusione: caratterizzati da incubi e ricordi vividi e dettagliati (per es., percezioni, immagini e pensieri collegati al trauma) fino a veri e propri flashback in cui si ha la sensazione di star “ri-vivendo” nel presente l’evento traumatico passato e che causano a reazioni emotive intense e agitazione psicomotoria.
  2. Evitamento del trauma: con questo termine si fa riferimento a tutte quelle strategie che ci permettono di evitare attivamente gli stimoli associati all’evento traumatico o che, in qualche modo, ce lo ricordano. Tra gli stimoli che sono oggetto di forte evitamento troviamo i pensieri e le emozioni, le persone, i luoghi e gli oggetti associati all’evento.
  3. Alterazione negativa dell’umore e del pensiero: l’umore può apparire deflesso, con riduzione di interesse e un senso di distacco ed estraneità verso le altre persone. Spesso, dopo un evento traumatico, si sviluppano credenze molto negative e pessimistiche sugli altri e sul mondo che riflettono una forte sfiducia. Una credenza molto frequente è che il mondo sia un posto pericoloso, che il pericolo sia sempre dietro l’angolo e che non ci si possa fidare di nessuno. Di frequente si manifesta anche un forte senso di colpa e di responsabilità per ciò che è accaduto.
  4. Elevata attivazione psicofisica ed elevata reattività: può emergere uno stato di ipervigilanza e agitazione in cui l’ambiente circostante viene attentamente vagliato alla ricerca di potenziali pericoli e in cui anche stimoli innocui possono scatenare reazioni di allarme sproporzionate  e/o esagerate. Questo stato di attivazione estrema, che spesso comprende episodi di ansia, irritabilità e scoppi di rabbia, può compromettere le capacità di attenzione e concentrazione, oltre che, portarci a sviluppare un disturbo del sonno, che complica ulteriormente il quadro sintomatologico.

Spesso chi soffre di questo disturbo fa uso sostanze stupefacenti con lo scopo di “automedicarsi”, trovando una sorta di rimedio “fai da te” che permette di diminuire, temporaneamente, l’impatto emotivo dell’evento traumatico. Altre, invece, sviluppano un’amnesia post-traumatica, non riuscendo a ricordare, in parte o del tutto, l’evento traumatico. L’amnesia rappresenta il tentativo del nostro cervello di proteggerci dal forte dolore che ci arrecherebbe ricordare alcuni elementi traumatici.

Se i sintomi descritti durano al massimo un mese, ci troviamo di fronte al Disturbo Acuto da Stress. Quando invece i sintomi si protraggono per più di un mese, generando un netto peggioramento del funzionamento personale, relazionale e lavorativo, allora si parla di Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD).
I sintomi del PTSD possono manifestarsi poco dopo l’evento traumatico o oltre sei mesi dopo. Nel secondo caso di parla di PTSD ad espressione ritardata.

Il PTSD dissociativo:

Il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5 TR) descrive una tipologia particolare di PTSD in cui, oltre ai sintomi precedentemente descritti, troviamo i sintomi dissociativi come derealizzazione e depersonalizzazione.

  • La derealizzazione è una sensazione di distacco dall’ambiente circostante, che appare irreale e/o distorto.
  • La depersonalizzazione, invece, è la sensazione di distacco dal proprio corpo e/o dai propri processi mentali, o ancora, la sensazione di essere degli osservatori esterni di sé stessi.

La dissociazione si può manifestare non solo come sintomo del PTSD, ma può verificarsi anche nel momento in cui si sta sperimentando l’evento traumatico. In questi casi si parla di dissociazione “peritraumatica”, un meccanismo di difesa che ci permette di diminuire l’impatto emotivo intollerabile dell’evento traumatico tramite una “disconnessione” dai nostri pensieri, emozioni, sensazioni fisiche e percezioni durante l’evento traumatico stesso.

Differenze tra PTSD tradizionale e PTSD dissociativo:

Alcune caratteristiche neurobiologiche differenziano il sottotipo dissociativo dal sottotipo tradizionale di PTSD. Il PTSD con caratteristiche dissociative è caratterizzato da una “sovra-regolazione” delle emozioni, che quindi risultano essere diminuite nella loro intensità.

Questo processo è causato dall’inibizione delle regioni limbiche del cervello (implicate nella percezione e nella risposta comportamentale e fisiologica agli stimoli emotivi-paurosi) da parte della corteccia prefrontale. Al contrario, il PTSD “tradizionale” è caratterizzato da una disregolazione emotiva che implica una “sotto-modulazione” delle emozioni, che quindi risultano essere amplificate nella loro intensità.
Questo processo è mediato da un’insufficiente inibizione da parte della corteccia prefrontale delle regioni limbiche.

La manifestazione di questa “sotto-modulazione” delle emozioni si manifesta nei sintomi di attivazione psicofisica e di elevata reattività agli stimoli ambientali.
Inoltre, i ricordi traumatici dissociati, al contrario di quelli integrati nella nostra memoria autobiografica, sono incontrollabili e facilmente attivati da tali stimoli collegati all’evento traumatico. Questo tipo di ricordi, associati a strutture cerebrali come l’amigdala, il talamo e la corteccia somatosensoriale, non possono essere facilmente inibiti da regioni cerebrali superiori.

Il PTSD dissociativo può quindi complicare ulteriormente i sintomi del PTSD, amplificando la sofferenza soggettiva e complicando il processo di elaborazione del trauma. Il problema principale è che la dissociazione, al contrario dell’integrazione o dell’associazione, interferisce con la nostra capacità di elaborare cognitivamente ed emotivamente le memorie traumatiche.
I fenomeni dissociativi possono essere quindi inizialmente utili come meccanismi di difesa (si veda “dissociazione peritraumatica”), ma in ultima analisi possono limitare la nostra capacità di elaborare ricordi traumatici.

Come si supera un trauma?

Superare un evento traumatico significa affrontare, elaborare ed integrare nella propria storia personale tutte le emozioni ed i pensieri che derivano dal trauma stesso. Affrontare questo processo di elaborazione da soli può essere davvero difficile e, nella maggior parte dei casi, chiedere aiuto può fare la differenza, agevolando un percorso tutt’altro che in discesa.
Vediamo insieme i passi da compiere!

  1. Terapia farmacologica: in molti casi, nel trattamento del PTSD, è necessario un intervento integrato che comprenda, oltre alla psicoterapia, anche la terapia farmacologica. Le benzodiazepine, di norma, sono sconsigliate nel trattamento dei disturbi trauma-correlati perché diminuiscono i livelli fisiologici di ormoni dello stress implicati nella risposta fisiologica all’evento traumatico. Infatti, nelle fasi immediatamente successive al trauma, si attiva l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene che produce e rilascia nel nostro corpo degli ormoni chiamati glucocorticoidi. Questo fisiologico meccanismo di risposta all’evento traumatico attiva una cascata di reazioni nel nostro cervello che contribuiscono alla “metabolizzazione” del trauma.
    Per gli incubi recenti ricerche suggeriscono l’utilizzo di farmaci antagonisti della noradrenalina (SNRI). Inoltre, è fondamentale tutelare il sonno e l’umore. Se non curato un PTSD può portare all’abuso di sostanze alcoliche come forma di automedicazione, con un conseguente peggioramento dei sintomi. Per prevenire queste complicazioni spesso si interviene con antidepressivi o stabilizzanti dell’ umore.
  2. Psicoterapia: per le persone che soffrono di PTSD la psicoterapia di sostegno riveste un ruolo importante perché i sintomi sono spesso troppo intensi e invalidanti da gestire in autonomia. I terapeuti hanno il compito di assicurare un atteggiamento empatico e comprensivo, riconoscendo e accogliendo la sofferenza psicologica dei pazienti e la realtà degli eventi traumatici.
    Nelle prime fasi del trattamento, molti pazienti hanno bisogno di imparare modi per rilassarsi e controllare l’ansia (per es., consapevolezza, esercizi di respirazione, yoga) prima che possano tollerare l’esposizione.
    L’esposizione, ossia il rivivere l’avvenimento traumatico nella propria immaginazione per poi raccontarlo al terapeuta, tende a essere un punto focale del trattamento del PTSD, permettendo di diminuire l’ansia associata all’evitamento.
    Per chi invece prova senso di colpa, può essere utile la psicoterapia orientata ad aiutare a comprendere e modificare gli atteggiamenti autocritici e punitivi individuando delle alternative di pensiero più funzionali.
  3. EMDR: l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing) o Desensibilizzazione del Movimento Oculare e Riprocessamento, è una tecnica psicoterapeutica strutturata, riconosciuta nel 2013 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come approccio terapeutico efficace per la cura dei disturbi collegati ad eventi traumatici.
    L’EMDR ha lo scopo di “desensibilizzare i ricordi traumatici e di generare nuove associazioni nelle reti neurali preesistenti che permettano un’elaborazione corretta del trauma. Per farlo è necessario accedere ai ricordi immagazzinati in maniera disadattiva e, allo stesso tempo, applicare una stimolazione bilaterale alternata come il tapping (il tocco alternato su entrambi i lati del corpo) o i movimenti oculari.

Se pensi di avere dei traumi – con “T” o “t”, da elaborare, non esitare a chiedere aiuto ad un* specialista.

 

Bibliografia

  • American Psychiatric Association (2023) DSM-5-TR. Manuale diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali – Quinta Edizione, Text Revision. Ed. Ital. della Text Revision a cura di G. Nicolò e E. Pompili. Ed. Ital. DSM-5 a cura di M. Biondi. Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Martinotti G., Di Giannantonio M., Janiri L. (2019). Compendio di psicopatologia. Fila37, Roma
  • Gabbard, G. O. (2015). Psichiatria psicodinamica. Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Lingiardi, V., & McWilliams, N. (2020). PDM-2. Manuale diagnostico psicodinamico. Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Caretti, V., & Creparo, G. (2008). Trauma e psicopatologia. Un approccio evolutivo-relazionale. Astrolabio Ubaldini, Roma.

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